L’avvocato ha diritto al compenso anche in assenza di un preventivo scritto o del parere del Consiglio dell’Ordine




Con ordinanza n. 33193 emessa dalla VI sezione della Corte di Cassazione e pubblicata in data 10.11.2022 è stata chiarita una questione che – a seguito della modifica dell’art.13, comma 5, della l. n.247/2012 da parte dell’art.1, comma 141, sub6, lettera d), della l. 4.8.2017 n.124 (che ha reso obbligatorio per l’avvocato specificare la prevedibile misura del costo della prestazione) – aveva creato confusione e non pochi problemi ai professionisti e ciò nonostante il successivo comma 6 statuisca che, qualora all’atto del conferimento dell’incarico il compenso non sia stato determinato in forma scritta, si devono applicare i parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della Giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell’articolo 1, comma 3.

Ebbene, con tale ordinanza la Corte di Cassazione ha ritenuto che non è l’esistenza di un preventivo scritto a far sorgere in capo al professionista il diritto al compenso, ma (i) la sussistenza di un mandato, peraltro non soggetto a particolari formalità (Cass., sez. VI, ordinanza n. 8863 del 31.3.2021), nonché (ii) l’effettivo svolgimento della prestazione professionale. Invero, l’onerosità è caratteristica usuale di qualsivoglia ipotesi di prestazione d’opera intellettuale. Il professionista quindi, per ottenere il pagamento della propria prestazione deve esclusivamente fornire prova del conferimento dell’incarico e dell’adempimento dello stesso e non anche della pattuizione di un compenso (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23893 del 23.11.2016). La violazione dell’obbligo del preventivo potrà far incorrere il professionista in conseguenze di natura civilistica o deontologica, ma non può far in alcun modo inficiare il diritto dello stesso ad ottenere il corrispettivo per la propria prestazione.

Conseguentemente, laddove il professionista intenda pattuire uno specifico compenso per la sua prestazione e non incorrere in possibili sanzioni, farà bene a concordarlo con il proprio cliente. In caso contrario, il professionista non perderà certo il proprio diritto ad ottenere il corrispettivo per la propria prestazione, ma lo stesso – sovvenendo a suffragio i criteri di preferenza dettati dall’art. 2233 cod. civ. – potrà essere determinato in base alle tariffe (nel caso di specie quelle vigenti per l’attività forense) ed agli usi e, infine, dal giudice (Cass., Sez. L, Sentenza n. 1900 del 25.1.2017; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 14293 del 4.6.2018).

Altro importante chiarimento nella citata ordinanza è stato fornito con riferimento alla necessità per il professionista, ai fini di ottenere il proprio compenso, di richiedere il parere – peraltro non vincolante – al competente Consiglio dell’Ordine. In merito, la Suprema Corte ha affermato che l’acquisizione di detto parere è necessaria esclusivamente nell’ambito del procedimento di ingiunzione (cfr. art. 636 cod. proc. civ. comma 1) quando l’ammontare del credito non sia determinato in base a tariffe fisse. Al di fuori di tale caso specifico, la necessità del parere è indispensabile esclusivamente laddove il compenso non possa essere determinato in base a tariffe, ossia, quando oggetto di liquidazione siano attività non rientranti nelle previsioni della tariffa professionale, per le quali la liquidazione debba avvenire opera del giudice (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 236 del 5.1.2011).

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