Validità della condizione che prevede, quale evento sospensivo o risolutivo, il comportamento, adempiente o non adempiente, di una parte


Fontana Galli - Aree di attività


La seconda sezione della Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 17380 del 17 giugno 2021, ha statuito che la pattuizione che fa dipendere dal comportamento, adempiente o meno, della parte l’effetto sospensivo o risolutivo del negozio, non configura una illegittima condizione meramente potestativa e ciò, nel caso di specie, non solo per l’efficacia (risolutiva e non sospensiva) del verificarsi dell’evento dedotto in condizione ma anche perché tale clausola, in quanto attribuisce il diritto di recesso unilaterale dal contratto (il cui esercizio è rimesso a una valutazione ponderata degli interessi della stessa parte), non subordina l’efficacia del contratto medesimo a una scelta meramente arbitraria della parte (cfr. anche Cass. n. 17859/2003; Cass. 8051/1990).

La massima trae origine da una vicenda che riguarda un contratto preliminare di compravendita nel quale si dava atto dell’esistenza di un diritto di prelazione di terzi e prevedeva l’obbligo del promittente venditore di comunicare a detti terzi l’intenzione di alienare il bene e, nel caso in cui detta prelazione fosse esercitata, la risoluzione del preliminare con obbligo del promittente venditore di restituire la caparra oltre accessori.

Non avendo il promittente venditore adempiuto al contratto preliminare, il promissario acquirente lo aveva prima diffidato formalmente a stipulare il contratto definitivo di compravendita ed aveva poi esercitato il recesso dal contratto preliminare. Innanzi all’inerzia del promittente venditore, aveva attivato un giudizio al fine di far accertare la legittimità del suo recesso dal contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, con obbligo dello stesso di corrispondere a quel punto il doppio della caparra versata e non solo l’importo versato a titolo di caparra. Ciò in quanto, non avendo i terzi esercitato la prelazione (c’era stata esclusivamente una proposta non realizzata per inadempienza del terzo), la condizione risolutiva del contratto preliminare non si sarebbe avverata (nel qual caso il promittente venditore avrebbe dovuto restituire solo la caparra e non il doppio della stessa) ed il contratto preliminare al momento del recesso esercitato dal promissario acquirente sarebbe stato valido e vincolante.

La Suprema Corte, quindi, pur riconoscendo valida la condizione risolutiva apposta in contratto – in quanto le parti, nell’ambito della propria autonomia privata, possono prevedere che l’adempimento o l’inadempimento di una di esse ad una obbligazione prevista in un contratto possa costituire legittimamente un evento condizionante l’efficacia del contratto medesimo – ha constatato che la condizione non si era verificata, ha dichiarato legittimo il recesso esercitato dal promissario acquirente dal contratto preliminare e ha di conseguenza condannato il promittente venditore al pagamento in favore del promissario acquirente del doppio della caparra da quest’ultimo versata.

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